Ci vediamo su Facebook e Twitter

E’ andata così e c’è poco da girare intorno alla questione: il blog, a un certo punto,  mi prendeva troppo tempo e ho dovuto mollare. Adesso le cose sono cambiate (un po’) e posso riprovare. Nel frattempo, però, altre cose sono cambiate. Il blog tradizionale è entrato ufficialmente in crisi a causa dell’avvento dei social networks, soprattutto Facebook e Twitter. Parlandone con qualche amico blogger o ex blogger sono arrivato alla conclusione che bisogna adeguarsi, e cioè: se uno può permettersi di tenere il blog lo tiene, e lo aggiorna spesso, altrimenti può utilizzare i social networks per continuare a “bloggare” senza blog. O altrimenti, come soluzione intermedia, può integrare questi strumenti, vale a dire: può tenere il blog e aggiornarlo di tanto in tanto, e riempire i buchi grazie ai rapidi aggiornamenti consentiti da Facebook e Twitter, che nel frattempo sono stati integrati nel blog. Semplice. Ossia, si può fare, e io ci provo, poi vediamo. Date un’occhiata sulla colonna destra del blog …

Buon Natale!

Una magnifica interpretazione di “Adeste Fideles” della grandissima Enya, e un video stupendo, scoperto visitando un blog amico, sono il mio regalo di Natale ai pochi ma affezionati lettori di questo blog.

Buon Natale a tutti!

Lasciamoli perdere

Filippo Facci Vs Marco Travaglio è ormai un classico. Il primo ha ragioni da vendere, o almeno io la vedo così: il livello di stima è pari allo zero. Però, un pochino, Facci ha stufato. Se cambiasse argomento sarebbe meglio per lui e per i suoi lettori. Il motivo lo ha spiegato, paradossalmente, proprio lui con l’ultimo articoletto sul Giornale.

Il problema è che occorre (…) tapparsi il naso, instradarsi in un duello forzato anziché indirizzarsi verso l’unico interlocutore che sarebbe davvero importante: il pubblico. È questa la fregatura dei satiri da circo, quelli di cui Travaglio è campione: devi scendere al loro livello, devi inzaccherarti le scarpe prima di nettarle degli epiteti che ti rivolgono quando vanno in difficoltà.

Appunto: occuparsi di Travaglio contiene una fregatura. Lasciamolo perdere, non parliamone più (o parliamone il meno possibile). Un po’ come con certi blog, come scrive Foglie d’Erba (a proposito: grazie!).

Quando la lettura dei giornali mette le ali alla fantasia

Oggi sul Corriere online si legge che Tanzi, in un’aula di tribunale ha detto: «Non ho mai ideato, non ho mai avuto la consapevolezza di aver architettato la grande truffa ai danni dei risparmiatori. Non ho mai pensato che ci fosse una diffusione così estesa di titoli nelle tasche di privati». Insomma, era all’oscuro. Figuriamoci i risparmiatori, verrebbe da dire. Incredibile.

Sempre sul sito del Corriere, e sempre con riferimento a cose sentite in un’aula di tribunale (che volete, questi sono i tempi …), si legge che per la prima volta nella storia, in Italia, qualcuno dovrà rispondere dell’accusa più grave in un processo per le morti sul lavoro: omicidio volontario.

Lo ha deciso il giudice Francesco Gianfrotta, rinviando a giudizio i sei imputati per il rogo della Thyssen Krupp, che nel dicembre scorso a Torino costò la vita a sette operai. Il gup ha accolto tutte le tesi sostenute dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, rinviando a giudizio l’amministratore delegato Harald Espenhahn con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, contestata per la prima volta in un caso del genere.

Anche questa notizia supera l’immaginazione. Ovviamente, è giusto che sia così: intanto il processo con l’accusa di cui sopra, poi sarà quel che sarà, ma in futuro qualcun altro rifletterà attentamente sul tema della sicurezza.

Infine, sull’edizione online di Repubblica si legge che Villari (Pd) tiene duro e non si dimette (“per ora”) dalla commissione di vigilanza, tra l’imbarazzo e lo sgomento del Pd e il plauso dell’opposizione, che lo ha eletto contro il parere del partito del Villari medesimo. Spiegate a un marziano di passaggio cos’è questa storia se siete capaci …

Liberate Nay Phone Latt!

Arrestato perché blogger, blogger perché oppresso dal regime dei generali assieme al suo popolo. E condannato a venti anni di carcere per aver contestato la giunta militare.
Il suo nome è Nay Phone Latt, e Reporter Sans Frontieres e l’Associazione dei media birmani (Bma) giustamente protestano e chiedono ai blogger di scendere in campo, pubblicando la sua foto e raccontando la sua storia.
Segnalato da Nora (spagnola) a Rob (italiano sempre più anglofono), ora lo riprendo pure io, lettore di Rob, ma utilizzo quel poco che c’è in italiano nel Web. E speriamo che serva a qualcosa.

Ancora sulle elezioni americane

Qualche giorno fa, per esaltare il significato delle “storiche” elezioni americane, ho fatto ricorso all’ottimo editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere. Non mi ero accorto, però, che un giorno prima di Panebianco su Wind Rose Hotel si leggevano cose molto simili, anzi, anche un po’ più “toccanti”, dal mio punto di vista. Per cui oggi riparo linkando quel post. Magnifico, davvero.

Miriam Makeba

Miriam Makeba si esibisce durante la registrazione del concerto di Natale in Vaticano nellaula Paolo VI, il 3 dicembre 2005 (Ap)

Miriam Makeba si esibisce durante la registrazione del concerto di Natale in Vaticano nell'aula Paolo VI, il 3 dicembre 2005 (Ap)

Era il simbolo della lotta all’apartheid, l’artista nota nel mondo come Mama Africa. Aveva accettato di esibirsi a Castel Volturno (Caserta), al concerto di solidarietà a Roberto Saviano. E’ morta sul palcoscenico, come desiderava, a 76 anni. Non la dimenticheremo.

Elezioni storiche

E’ stata sanata la frattura della discriminazione razziale, cioè, parliamoci chiaro, la principale macchia della democrazia americana. E così l’American Dream esce trionfatore dalle elezioni presidenziali. Questo e altro nell’ottimo editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.

Ironie sconvenienti

Questo ho fatto la fatica di trascriverlo dal cartaceo. Ma ne vale la pena.

Nemmeno al premier conviene ironizzare sull’opposizione
di Stefano Folli
Il Sole 24 Ore del 18 settembre 2008

Non è la prima volta che il presidente del Consiglio usa toni molto critici verso Veltroni, personaggio indebolito e in evidente difficoltà, ma pur sempre il leader riconosciuto del maggior partito d’opposizione. La novità consiste nel modo sprezzante con cui lo ha apostrofato stavolta. Dire di qualcuno che è «inesistente» sul piano politico (se paragonato ai positivi indici d’opinione che in questo momento premiano l’esecutivo) significa colpire sotto la cintura. Un giudizio pesante, con cui Berlusconi vuole far sapere che non esiste alcuna prospettiva di «dialogo» o confronto parlamentare con un’opposizione troppo fragile per sedersi intorno a qualsiasi tavolo.

E’ una posizione nota, quella del premier. L’averla ribadita con tanta asprezza significa con evidenza che Berlusconi ha scelto di puntare sul costante, lento logoramento di Veltroni. Il che equivale al logoramento del Partito democratico. Da un lato, il leader della destra chiude gli spazi al suo avversario; dall’altro si compiace per la contraddizione in cui si agita il Pd: avere un capo in qualche misura «blindato» dalla vittoria nelle primarie (benché addomesticate) e tuttavia così fragile da non costituire una reale alternativa.

Tutto questo è abbastanza chiaro e fa parte del gioco politico. Vero è che nel centrodestra non tutti, almeno fino a ieri, condividevano la linea della chiusura totale. Basti pensare alle preoccupazioni di Bossi e Calderoli circa il cammino parlamentare del federalismo. Riformare la Costituzione richiede un notevole grado di coinvolgimento dell’opposizione. E del resto, su questo terreno, si era svolto prima delle ferie d’agosto un significativo incontro fra il presidente della Camera Fini e Massimo D’Alema.

Viceversa Berlusconi sostiene non da oggi una linea di assoluto scetticismo e non sembra credere che con l’opposizione si debba trattare alcunché. Tanta determinazione gli deriva dalla forza dei numeri e, come si è detto, dai sondaggi d’opinione. Ma soprattutto dalla convinzione che il momento sia propizio per approfittare fino in fondo, anche in termini elettorali, della crisi della sinistra.

Può darsi che abbia ragione. In passato Berlusconi ha dimostrato di avere la capacità di guardare lontano. Tuttavia l’uscita di ieri lascia perplessi per un motivo di fondo. A esprimersi in termini tanto aggressivi non è solo il leader della maggioranza, ma il presidente del Consiglio. E da quest’ultimo ci si aspetterebbe un certo «bon ton» istituzionale. Quando si è lontani dalla campagna elettorale, chi ha la responsabilità del governo non tratta in modo sprezzante il leader dell’opposizione. Nemmeno, e in particolare, quando quest’ultimo naviga in cattive acque. Il bipolarismo ha tante durezze, ma conosce anche le regole del galateo. E difatti né Bush, né Sarkozy, né Brown definiscono «inesistenti» i leader della loro opposizione.

In fondo proprio le cifre positive dei sondaggi, che premiano il lavoro di Palazzo Chigi, dovrebbero consigliare qualche prudenza al presidente del Consiglio. L’opposizione merita rispetto in ogni caso, ma soprattutto quando chi governa vive una fase di notevole popolarità. Una popolarità senza dubbio eccezionale, visto che ormai sono passati diversi mesi dall’inizio di questa esperienza di governo. Un’opposizione troppo debole può costituire un vantaggio nell’immediato, ma alla lunga è un rischio per tutti.

L’onore delle armi ci può anche stare

Solo i radicali concedono l’onore delle armi a Prodi, lo fa presente Fabio Martini su La Stampa di oggi. Un riconoscimento dovuto anche da chi non ha mai visto di buon occhio l’ex premier, ed io sono tra quelli. Mi manca il tempo di scrivere un post sull’argomento, ma almeno posso copiare e incollare l’articolo di cui sopra.

Il primo paradosso si consuma appena Romano Prodi si siede tra i capi radicali. Marco Pannella ed Emma Bonino hanno invitato l’ex premier nella loro «tana» a via di Torre Argentina, per insignirlo del premio abolizionista 2008 e nella cerimonia il primo a prendere la parola è Sergio D’Elia. È lui, ex terrorista di Prima linea «redento» dai radicali, a ricordare i «meriti del governo Prodi» nello storico successo ottenuto all’Onu dall’Italia, Paese leader nella battaglia vittoriosa per la moratoria sulla pena di morte. A sinistra accade rarissimamente sentir parlare bene del governo Prodi, sarà un caso ma in sala non è presente il leader del Pd Walter Veltroni che pure era stato invitato alla cerimonia e non è certo un caso che, dopo la sua caduta, gli unici due inviti ad incontri politici, Prodi li abbia ricevuti dai radicali. Al congresso di Chianciano e col premio che negli anni scorsi era stato attribuito a due capi di Stato africani dall’Associazione «Nessuno tocchi Caino», una delle tante creature della nidiata radicale.

Prodi e Pannella, una strana coppia. Cattolico «molto praticante» secondo la definizione del quotidiano dell’episcopato francese La Croix, Prodi è sempre stato lontanissimo dalla cultura di Pannella, dal suo stile, dalla pratica dei digiuni, dal laicismo a tutto tondo, dalla militanza antitotalitaria che prescinde dalla ragion di Stato. Ma l’appoggio «da ultimi giapponesi» dato dai radicali al suo governo, quella tenace battaglia per l’abolizione sulla pena di morte, il lavoro di Emma Bonino al Commercio estero hanno cambiato l’opinione del Professore. E così, quando prende la parola per ringraziare del premio, Prodi dice che la decisione dell’Onu è stato il risultato di «un grande lavoro di squadra» e che dunque l’alloro lo avrebbero meritato alla stessa maniera «D’Alema, la Bonino o Marco Pannella». Il vecchio leone radicale, 78 anni gagliardamente portati, ascolta in silenzio e Prodi gli regala un altro riconoscimento: « È giusta la sua battaglia per la moratoria della pena di morte per Tareq Aziz». Pannella, forte dell’appoggio di sette senatori a vita, 272 parlamentari e 145 europarlamentari, se la prende con il sistema informativo che ignora questa iniziativa, parla di «neofascismo» e ricorda a Prodi «gli articoli di don Sturzo sul “Mondo”», il settimanale che negli anni Cinquanta è stato il tempio della cultura laica. Scambi di gentilezze che si consumano in quell’habitat assolutamente originale che è la sede del Partito radicale, universo lontanissimo da quello prodiano. In sala c’è Francesca Mambro, ex terrorista di destra, una delle tante della «comunità di recupero sociale» di Torre Argentina, ma anche diversi ambasciatori di Stati esteri. In prima fila Pannella ha voluto, ben visibile anche Sergio Stanzani, 85 anni, costretto dagli acciacchi a sedere in carrozzella. Prodi lo riconosce e con gesto per lui inusuale si piega per baciarlo sulle guance. La cerimonia è finita, il Professore se ne va e appena è uscito, un militante radicale sfodera una battuta amara: «Nel 2007 le esecuzioni nel mondo sono diminuite, in Italia ce n’è stata una e Prodi ne sa qualcosa!».